S. Tommaso Becket arcivescovo di Canterbuy, martire amico della Sicilia

La Sicilia e l’Inghilterra ebbero, nel XII secolo, importanti relazioni politiche e culturali, culminate nel 1177, nel matrimonio celebrato o Palermo tra il Re di Sicilia Guglielmo II detto il buono e la Principessa Giovanna d’Inghilterra sorella di Riccardo Cuor di Leone e figlia di Enrico II il Plantageneto. Palermo ospitava allora una folta colonia di studiosi, ecclesiastici ed uomini politici inglesi che costituivano, insieme ai greci, agli arabi ed ai francesi, parte integrante di una corte raffinata e cosmopolita. La capitale dell’Isola era allora uno dei poli più importanti per la politica europea oltre che cerniera culturale tra l’Oriente e l’Occidente. Tra gli inglesi presenti a Palermo spiccava Walterius Offamilio, precettore del futuro Re Guglielmo, ed in seguito arcivescovo di Palermo, costruttore della Cattedrale e della chiesa di Santo Spirito (in seguito detta dei Vespri). Il fratello Bartolomeo fu vescovo d’Agrigento. Un altro inglese, Riccardo Palmer, fu vescovo di Siracusa ed amico del Re d’Inghilterra. Uomini di scienze e di lettere come Abelardo di Bath, soggiornarono in Sicilia per conoscere le opere dei filosofi greci, tradotte dagli studiosi arabi. La Sicilia divenne per gli Inglesi una terra leggendaria: Gervasio di Tillbury che fu a Palermo nel 1183 ambientò sull’Etna la conclusione della storia di Re Artù scrivendo che il sire mortalmente ferito, fu trasportato dalla sorella Morgana tra le selve del vulcano Siciliano dove attende ancora di ritornare tra i Cavalieri della Tavola Rotonda.
Gli avvenimenti politici accaduti in quegli anni nelle due corti ebbero talvolta un reciproco, anche se indiretto coinvolgimento. Il caso più eclatante riguardò la disputa tra l’arcivescovo di Canterbury, Tommaso Becket ed il suo Re, Enrico II il Plantageneta, deciso ad affermare il suo potere temporale sulla Chiesa inglese. Sia il Re che l’Arcivescovo si appellarono alla corte di Palermo. Il primo, chiese appoggio politico, il secondo protezione per i suoi parenti che, perseguitati in Inghilterra, ebbero in seguito asilo in Sicilia, grazie all’aiuto della Regina Margherita di Navarra, madre di Guglielmo II e di Riccardo Palmer. Per la corte di Palermo, il contrasto tra i due illustri personaggi fu davvero imbarazzante. Se da un lato, emotivamente e politicamente si parteggiava per Becket, dall'altro non si poteva ignorare che Enrico II chiedeva solo una parte dei privilegi accordati dal Papa, decenni prima, ai regnanti normanni di Sicilia. Da parte sua, anche la Regina di Sicilia ebbe bisogno dell’autorevole aiuto dell’Arcive-scovo di Canterbury. Morto il marito Guglielmo I Margherita divenne reggente di una nazione multietnica, in attesa che il figlio, Guglielmo II, divenisse maggiorenne. Ben presto i baroni normanni non tollerarono più che funzionari di corte arabi reggessero le fila dello stato e si ribellarono, fomentando congiure e disordini.
Margherita chiamò in aiuto dalla Francia il cugino Stefano di Perche, amico fraterno di Becket. Uomo energico ed onesto, Stefano riprese ben presto in pugno il controllo del regno, ricoprendo la carica di Cancelliere e successivamente di Arcivescovo di Palermo. Tuttavia a causa della sua inflessibile rettitudine si attirò l’inimicizia dei poteri occulti della corte e al culmine di una sommossa fu costretto all’esilio. Al suo posto venne eletto arcivescovo: Walterius Offamilio. La Regina costernata scrisse all’Arcivescovo di Canterbury, affinchè facesse leva, con il suo autorevole intervento, presso il re di Francia ed il Papa al fine di non ratificare l’elezione di Gualtiero e far tornare a Palermo Stefano. Thomas Becket fece di tutto per esaudire la Regina, ma ogni sforzo fu vano. Persino una lettera scritta al suo vecchio amico Riccard, vescovo di Siracusa e personaggio influente alla corte di Palermo, rimase senza esito. D’altronde lo stesso Riccardo e gli altri inglesi di Palermo si preparavano ad abbandonare la causa di Becket, nella speranza d’imparentare il giovane re di Sicilia con i regnanti inglesi. Intanto gli eventi precipitarono e malgrado una breve riappacificazione tra Tommaso ed Enrico avvenuta a Frétéval i rapporti tra i due peggiorarono: il 29 Dicembre del 1170 quattro cavalieri di Enrico convinti di eseguire il volere del loro sovrano uccisero l’arcivescovo nella Cattedrale di Canterbury.
Tommaso spirò mormorando: Accetto la morte in nome di Gesù e della sua Chiesa. I drammatici eventi consumati dagli uomini del Re nella cattedrale di Canterbury, suscitarono orrore e riprovazione in tutto il mondo ed ebbero a Palermo l’effetto di allontanare l’idea di un matrimonio inglese per il Re di Sicilia. Tuttavia, trascorsi due anni dal martirio di Tommaso Becket, il Papa Alessandro III, constatato il sincero e pubblico pentimento del monarca inglese, lo perdonò, dandogli l’assoluzione. L’anno dopo (1173), lo stesso Alessandro canonizzò Tommaso Becket: Canterbury divenne così il più importante centro di pellegrinaggio in Inghilterra. Una volta ripristinati i rapporti tra la Santa Sede e la corona inglese, alla corte di Palermo si ripresero le trattative per il tanto auspicato matrimonio anglo-siculo, visto di buon occhio anche dal Papa che così avrebbe avuti due baluardi omogenei a Nord ed a Sud d’Europa contro la minaccia dell’imperatore tedesco. Il matrimonio fu celebrato a Palermo il 13 Febbraio del 1177 tra l’entusiasmo dei palermitani per la giovanissima regina inglese e lo stupore dei dignitari del suo seguito per le ricchezze e lo sfarzo della città siciliana. Giovanna fu per i suoi sudditi una buona regina e nonostante fosse la figlia dell’implacabile nemico di S.Tommaso si ha notizia che fosse a questi sinceramente devota. Il martire di Canterbury non venne mai dimenticato a Palermo da quanti lo avevano conosciuto, amato e venerato, ed abbiamo visto quanto egli fosse stato vicino alla Sicilia. Alcuni dei suoi parenti si erano stabiliti definitivamente nell’Isola a Palermo e a Sciacca.
Guglielmo II volle, tra le prime immagini dei santi mosaicate nell’abside del duomo di Monreale anche quella di Tommaso di Canterbury, collocata non a caso, tra gli altri martiri caduti in difesa della Chiesa. E’ una delle effigi più belle che si conoscano del martire inglese ed ha un notevole valore storico, poichè fu composta dopo circa tre anni dalla sua morte. Ma non fu questo l’ultimo omaggio che Palermo tributò al Santo; nella cappella della Trinità della Cattedrale di Canterbury esiste un pavimento a mosaico nel luogo che dal 1220 al 1538¸ ospitò il reliquiario di Tommaso. Questo pavimento mostra, nello stile e nel disegno geometrico, l’impronta inconfondibile degli artigiani palermitani.