La cattedrale di Monreale, successiva alla Cappella Palatina di Palermo ed alla cattedrale di Cefalù, rappresenta il punto d’arrivo, di un secolo di costruzione normanne, continentali ed insulari. In essa confluiscono sincreticamente esperienze costruttive, che iniziando a Cluny nel X secolo, proseguono con l’edificazione dell’abbaziale di Bernay e successivamente della Trinitè , St. Nicolas e St. E’tienne a Caen, coniugando a Mileto, queste architetture con quelle dell’abbaziale di Montecassino e sperimentando nelle cattedrali di Catania e Messina nuove tipologie impregnate di regionalismo siciliano e nuovo sperimentalismo normanno, (v. Lessay Normandia - Manche).
Osservata dall’esterno la cattedrale di Re Guglielmo II, si articola in tre volumi principali caratteristici delle chiese occidentali a croce latina: Il corpo basilicale longitudinale a tre navate, il transetto, e la zona triabsidata. A questi volumi si aggiungono ad occidente: due torri campanarie che serrano il portico d’ingresso colonnato (esonartece) sormontato da un timpano triangolare, secondo il tipico schema delle chiese della Normandia. Le superfici dell’esonartece erano decorate con scene ispirate alla vita della Beata Vergine Maria.
La grande porta d’ingresso rivestita con formelle bronzee, opera di Bonanno da Pisa, fu collocata nel 1185. All’incrocio del transetto con la navata centrale si innalza, sopra gli altri corpi di fabbrica: il quadrato del tiburio che contiene la solea, non sormontato da una cupola, ma da una copertura a doppia falda, come la sottostante copertura della navata centrale. Quest’ultima si attesta con il colmo, nella mezzeria inferiore della finestra centrale della solea..
L’interno del corpo basilicale, è come già accennato, diviso in tre navate da una doppia fila composta di nove colonne di spolio sormontate da capitelli di evidente origine classica . Ciascuna delle navate laterali è larga un terzo di quella centrale. I capitelli sono a loro volta raccordati con i sovrastanti pulvini con abaci a libro secondo un forma tipicamente normanna. Gli abaci hanno spessore diverso evidentemente per raccordare le varie altezze delle colonne, tra loro differenti al fine di porre allo stesso livello tutti i piani d’imposta degli archi ogivali.
La particolare forma geometrica di quest’ultimi collabora alla centratura dei pesi delle strutture sull’asse delle colonne che in questo modo, non subiscono carichi accentrici che ne comprometterebbero la stabilità. Un espediente tecnico che permette di rendere più agili e resistenti le strutture interne, caratteristico delle architetture bizantino-islamiche di quel periodo, successivamente adottate con alcune varianti, nelle cattedrali gotiche. Gli archi si spingono ben oltre i consueti livelli normanni caratterizzati dai deambulatori sovrastanti le navate laterali, le cui bifore o trifore a Monreale scompaiono, per dare posto ai vastissimi campi musivi (oltre seimila mq)che ricoprendo le strutture, le smaterializzano con la loro luce riflessa. Si ha così l’impressione che la cattedrale sia stata costruita con la luce, più che con la pietra.
La navata centrale è coperta con una struttura lignea a doppia falda, mentre le navate laterali lo sono con un tetto ad una sola falda. Le coperture furono ricostruite dopo circa trenta anni dal devastante incendio che nel 1811devastò gran parte del presbiterio. Le preziose decorazioni delle capriate e dei soffitti, probabilmente rifatte in base ai precedenti disegni medievali, si armonizzano perfettamente con i mosaici parietali. La prospettiva, disegnata dalla doppia teoria delle colonne della navata centrale, si prolunga con le strutture che attraversa nel presbiterio, ordinando otticamente ogni elemento musivo od architettonico, in un’unica convergenza verso il Cristo Pantocratore, genialmente ed armoniosamente proporzionato nella superficie ricurva del catino absidale in un effetto stereoscopico.
Architettura e programma iconografico si compongono secondo un unico progetto prestabilito in ogni dettaglio. Al presbiterio si accede attraverso degli archi che ne determinano i vari settori. L’area presbiteriale, per ampiezza, si rapporta con l’abbaziale Cassinese, con lievissime sporgenze rispetto al corpo basilicale al contrario dei transetti normanni con bracci molto pronunciati trasversalmente, rispetto alle testate delle navate laterali. Ma questa configurazione, almeno all’interno, viene ripristinata dall’introduzione di un quadriportico pilastrato (modulo tipicamente bizantino), che divide il presbiterio in un doppio transetto con bracci interni evidenti: Il primo intercetta l’asse della navata centrale, determinando il quadrato rialzato della solea dove ha sede l’altare; il secondo contiene in allineamento interno, l’abside centrale con quelle laterali, secondo lo schema normanno – cluniacense. Conformando parimenti, le aree della protesi e del diaconico, come cappelle autonome, secondo le tipologie delle piccole chiese della Normandia ad una sola aula, ( v. Tollevast).
All’esterno, in pianta, le tre absidi assumono la consueta forma scalettata, (à échelons), con la centrale pronunciata. Si evidenziano tuttavia, alcune sostanziali differenze con le componenti bizantine e normanne contemporanee: il tiburio all’incrocio tra il transetto ed il prolungamento della navata, pur riconducendosi al modulo tetrastilo centrico bizantino, non è sormontato da un cupola, ma chiuso con un tetto a doppia falda. Le zone absidali sono coperte con volte a crociera ad eccezione del catino absidale che non è traforato dalle consuete tre finestre (talvolta, circolari, come in alcune chiese della Normandia), per dare più spazio interno all’immensa figura del Pantocrator. I rapporti geometri tra le varie componenti planimetriche sono dettati da rigorosi criteri proporzionali e da un sistema metrico la cui unità di misura equivale al cubito islamico (circa 42 cm v. planim allegata). Alla pari delle grandi costruzioni basilicali cristiane, il Duomo era preceduto da un grande recinto rettangolare con giardino e pozzo centrale ad uso dei pellegrini chiamato: Paradiso, chiuso da portici laterali conclusi dal nartece. Vi si accedeva da una porta d’ingresso praticata nel perimetro occidentale difeso da muri e torri.